«La città è una grande casa per una grande famiglia» (Leon Battista Alberti)
29 Giugno 2018
I quartieri realizzati nell’ambito del Piano Ina-Casa (1949-1963), negli anni della ricostruzione post-bellica, sono ancora oggi un esempio significativo e ineguagliato di edilizia residenziale popolare su scala nazionale. Il Piano, noto anche come Piano Fanfani, dal nome dell’uomo politico, ministro del Lavoro e della Previdenza sociale (1947-1950) e successivamente presidente del Consiglio, che lo varò, venne istituito con la Legge 28 febbraio 1949, n. 43, Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori.
Il comitato tecnico consultivo del Piano, costituito presso l’INA, vantava architetti importanti come Adalberto Libera, Mario Ridolfi, Pier Luigi Nervi, Mario De Renzi, Saverio Muratori, ma anche umanisti come l’industriale Adriano Olivetti, presidente dell’Istituto nazionale di urbanistica dal 1950 al 1960. Nella progettazione degli interni lavorarono architetti-arredatori come Vittorio Gregotti, mentre alle targhe in ceramica con la dicitura INA-Casa, poste sui palazzi ed elemento identificativo del Piano, lavorarono artisti e ceramisti di rilievo, tra i quali Alberto Burri, Duilio Cambellotti, Piero Dorazio, Tommaso Cascella, Publio Morbiducci, Pietro De Laurentiis, Irene Kowaliska e Guerrino Tramonti.
Complessivamente, dall’inizio dell’esecuzione del Piano al 1962, furono aperti circa 20.000 cantieri nei quali furono impiegati, annualmente, almeno 40.000 lavoratori; al Piano collaborarono centinaia di enti pubblici e migliaia fra aziende e professionisti.
L’Archivio INA Assitalia conserva alcune tracce di questa grande storia, complessa anche per i passaggi di gestione a vari enti, dalla GESCAL (Gestione case per lavoratori, disciolto nel 1974) agli IACP (Istituti autonomi case popolari) e infine all’ATER (Aziende territoriali di edilizia residenziale), che rendono difficile la ricerca.
Attraverso le proprie carte l’Archivio ha recuperato recentemente la pellicola Case per il popolo, realizzata nel 1953 sotto gli auspici della Gestione INA-Casa, per la regia di Damiano Damiani e conservata dalla Cineteca di Bologna, che ne ha curato il riversamento digitale. Il filmato, della durata di una decina di minuti, presenta due voci fuori campo, una maschile ed una femminile, che commentano le immagini. Il film inizia con la descrizione delle precarie condizioni igienico-sanitarie delle persone nelle baraccopoli, con inquadrature su misere casupole e caverne (l’uomo è definito “troglodita moderno”) e sui volti emaciati di un gruppo di bambini che vivono per strada in stato di ordinata indigenza. La protagonista, la piccola Mariuccia, è costretta a prendere l’acqua con la tanica più volte al giorno da un’unica fontana che serve più di cento persone. Vengono inquadrati poi i cantieri e le varie fasi di realizzazione del piano edilizio INA e Mariuccia che finalmente entra in una casa dai muri appena intonacati, corre subito ad aprire un rubinetto e contempla felice l’acqua che sgorga. I bambini si affacciano ai balconi dei palazzi e giocano nel cortile; le ultime immagini sono delle vedute aeree dei quartieri INA-Casa.
Questo documentario di stampo neorealista ricorda il film pasoliniano Mamma Roma (1962), dove l’attrice protagonista Anna Magnani prende casa nel comprensorio INA-Casa del Quadraro, lo stesso che si vede anche nella pellicola di Damiani. Il Quadraro, quartiere popolare di Roma che si trova tra la via Tuscolana e la via Tiburtina, si distinse durante la seconda guerra mondiale per il suo impegno nella Resistenza e contro la deportazione, tanto da essere soprannominato dai tedeschi durante l’occupazione nazista “il nido di vespe“.