Hollerith vs Powers: 1-1

24 Settembre 2021

Approfondimenti Archivio Storico Ina Assitalia

È stato ultimato in tempi recenti il restauro della macchina selezionatrice “Remington Rand Powers” della fine degli anni venti del Novecento, vecchio gioiello del centro meccanografico della società Assitalia. Fino al 2003 la macchina è stata esposta negli uffici INA di via Sallustiana a Roma, poi, a seguito del trasferimento per la vendita del palazzo, è stata conservata nel deposito della società e dal 2016 è in mostra nella sala di consultazione dell’Archivio Storico INA Assitalia.

La Remington Rand Powers (l 1,70 m x h 1,10 m x p 0,45 m), è stata collocata presso la segreteria amministrativa del servizio informatico – sistema elaborazione dati (SIA-SED) ed utilizzata per molti anni. Quando negli anni ottanta INA cominciò la campagna di riordino del proprio Archivio Storico, il direttore generale – al fine di recuperare ogni significativa testimonianza del passato – fece richiesta scritta al direttore generale di Assitalia perché venisse ceduta “la macchina Remington Rand Powers per la selezione schedografica meccanizzata”.

La Remington Rand Powers utilizzava una tecnologia meccanografica del tutto simile alla Hollerith, sinonimo di calcolo automatico attraverso schede perforate che rendevano possibile elaborare non solo dati numerici ma anche alfabetici.

Il brevetto della prima macchina risale al 1890 quando Herman Hollerith lo depositò in occasione del censimento della popolazione americana ed è dello stesso anno la creazione della Tabulating Machine Company, poi International Business Machines Corporation (ovvero IBM, dal 1924). Diretto concorrente di Hollerith è stato James Powers, produttore della nostra macchina selezionatrice.

Ma è stato quest’ultimo che agli inizi del Novecento ha tolto a Hollerith il primato come fornitore delle macchine tabulatrici al Census Bureau del Congresso. Le macchine Powers, infatti, all’epoca risultavano più veloci, affidabili e soprattutto economiche delle Hollerith essendo dotate di sensori meccanici per il rilevamento dei fori, mentre invece le macchine di Hollerith montavano sensori elettrici.

Al 1911 risale la nascita della Powers Tabulating Machine Company. Il suo nome, però, non pare essere passato alla storia in maniera così trionfale come quello di Hollerith: verso la fine degli anni venti, infatti, la compagnia venne acquisita dal colosso formatosi dall’unione di Remington e Rand Kardex (produttore di macchine per scrivere, il primo, e di schede per la memorizzazione dati, il secondo), fusione da cui nacque appunto la Remington Rand Powers.

Nei loro primi anni di attività i due ingegneri si resero protagonisti di liti giudiziarie relativamente ai rispettivi brevetti, che infine si differenziarono anche per la tipologia delle schede, la forma della perforazione e le operazioni eseguibili. Solo IBM riuscì però a fronteggiare la grande crisi del 1929 e negli anni successivi ciò valse la conquista del titolo di principale produttore di macchine per ufficio in tutto il mondo.

Le nuove calcolatrici a schede perforate giunsero ben presto anche in Italia. Il primo a impiegarle fu l’ISTAT (Istituto nazionale di statistica) nel 1894. Nel 1914 fu la volta di Pirelli e INA, nel 1919 vennero installate da FIAT e dal Banco di Napoli, nel 1927 trovarono impiego presso le Ferrovie dello Stato e nel 1931 vennero utilizzate per elaborare il censimento italiano. Negli anni trenta giunsero anche alle Assicurazioni Generali, dove Bruno de Finetti, il più grande studioso italiano di matematica applicata del Novecento, diede vita al primo centro elettrocontabile della compagnia impiegando queste macchine con grande successo e segnando così l’inizio di una nuova epoca nell’organizzazione del lavoro contabile anche nel settore assicurativo (per approfondimenti su Bruno de Finetti si vedano: M. MARIZZA, Bruno de Finetti e le Assicurazioni Generali. Molte luci, e qualche ombra, su un lungo rapporto di collaborazione, in Generali nella Storia. Racconti d’Archivio. Novecento, Venezia, Marsilio, 2016, pp. 170-175 e A. MILLO, Bruno de Finetti, ibid., pp. 176-181).