Facciamo teatrino o propaganda? Che dio[rami] ce ne salvi!

02 Febbraio 2018

Approfondimenti Archivio Storico Generali

«Noi non facciamo la pubblicità al prodotto, noi facciamo la propaganda all’idea», così sentenzia Napoleone Giuseppe Fiumi (Londra 1898 – Trieste 1948, dipendente di Generali nonché noto ritrattista, incisore e illustratore) in un suo articolo del 1941 pubblicato sulla rivista aziendale il «Bollettino». Il suo intervento affronta il tema della funzione sociale della pubblicità, cioè quello di «far pensare», e nel particolare, la responsabilità della compagnia nel promuovere («propagandare») appunto un’idea: la previdenza.

Partendo dal presupposto che l’efficacia di un messaggio pubblicitario si commisura in termini di semplicità, chiarezza ed eleganza, le forme reclamistiche più «attraenti», a giudizio di Fiumi, sono quelle luminose a movimento. A questo proposito fa cenno a un quadro luminoso simulante un incendio, capace di attirare l’attenzione del pubblico più di qualsiasi manifesto murale: che si tratti del diorama realizzato dallo scenografo triestino Rossi Giacomo junior (1894-1944)? Il diorama, strumento ottocentesco che riproduce tridimensionalmente la realtà, non si conserva più, ma presso l’Archivio storico di Generali ne restano alcuni indizi. Il tempo ha restituito delle foto in bianco e nero di quattro diorami raffiguranti le principali coperture assicurative, rispettivamente: vita, trasporti, incendi e furti. In quello rappresentante un’incidente stradale, compare una targhetta quasi invisibile a occhio nudo con la scritta «G. Rossi teatro Verdi Trieste». I Rossi (del Rosso, Rossi), padre (Giacomo senior, 1865-1930) e figlio, furono una dinastia di raffinati scenografi operanti per importanti istituti culturali quali l’Opera di Vienna, il teatro La Fenice di Venezia e il Teatro comunale Giuseppe Verdi di Trieste, di cui Mario (1920-1986), figlio di Giacomo junior, fu per lungo tempo direttore dello stabilimento scenografico. Giacomo Rossi junior oltre a offrire la sua opera al teatro triestino per quasi quarant’anni ricevette anche importanti commesse per la realizzazione di decorazioni per sale da ballo e messinscene pubblicitarie. A tal proposito, interessante è il diorama che pubblicizza l’assicurazione incendi, in quanto si riconosce uno scorcio di Trieste antecedente agli sventramenti che interessarono la Città vecchia tra il 1934 e il 1938, ovvero il passaggio che conduce da piazza Unità d’Italia al quartiere di Cavana attraversando l’attuale via Pozzo del Mare. Si distinguono, infatti, i profili semplificati dei palazzi Brigido, Leo e della chiesetta di san Rocco e san Sebastiano. L’interesse dello scenografo per queste zone della città è testimoniato da diversi studi e bozzetti conservati presso il Civico museo teatrale Carlo Schmidl di Trieste.

I diorami denotano notevoli competenze stilistiche e senso dell’effetto prospettico ma nulla in confronto ai più avveniristici quadri semoventi utilizzati per promuovere il risparmio assicurativo e decantati in diversi articoli del «Bollettino». Il primo quadro fece bella mostra di sé per la prima volta nel 1933 alla Fiera del Levante di Bari e venne poi presentato in varie esposizioni fieristiche suscitando l’entusiasmo di grandi e piccini e conquistando le prime pagine di diverse testate giornalistiche. La scena, in tutta la sua lunghezza, era divisa da un avancorpo in cristallo, nel quale si aprivano sei sportelli corrispondenti ai rami esercitati dalla compagnia e dalle due affiliate le Anonime Infortuni e Grandine; al centro lo sportello della cassa. Sul davanti, verso la boccascena, gli uffici dell’agenzia erano divisi dallo spazio riservato al pubblico mediante un banco di legno in noce chiaro. Sul soffitto un lucernaio in cristallo illuminato da lampadine. Due porte, una d’entrata e l’altra d’uscita, sui fianchi della scena dipinta in lacca rossa, impreziosita da una grande cornice color oro. Mossi da un congegno azionato a energia elettrica, realizzato da Giuseppe Sprigolo e Emilio Di Marzio, passavano sulla scena i personaggi, che rappresentavano alcune fasi caratteristiche dell’assicurazione vita dimostrandone l’importanza economica e sociale. Il curioso teatrino esaltava infatti il risparmio, mostrando un giovane assicurato, che poi in età matura ritirava il premio. Un’altra scena invece celebrava la previdenza, presentando in un primo tempo un individuo che acquistava una polizza sulla vita, e in un secondo tempo una vedova che incassava il relativo premio per i figli.

Purtroppo nulla di quanto descritto è stato conservato… Come chiosa il dipendente di Generali e poeta veneziano Umberto Foà nella sua simpatica poesiola «Vardè sto spetacolo e dopo andè via e a farve una poliza corè a l’Agenzia!».