Quando la memoria era scolpita nel marmo e nel bronzo: i busti dei presidenti di Generali
08 Febbraio 2024
La raccolta dei busti in marmo (8 esemplari) e in bronzo (3 esemplari) dei presidenti di Generali inaugura, e conclude, l’epopea del ritratto commemorativo “tradizionale” dei più alti dignitari della Compagnia, sostituito poi dalla fotografia passando attraverso il medium della pittura.
La tradizione inizia in occasione del 40° anno di attività del segretario generale Masino Levi e delle di lui dimissioni da tale carica per sopraggiunti limiti impostigli dall’età, come segno di stima e riconoscimento da parte della Direzione, e soprattutto come esempio per gli impiegati «per confermare in esso la persuasione, che chi serve il nostro stabilimento in modo esemplare ed indefesso, e può raggiungere le più alte cariche sociali, e godere fino agli ultimi giorni della più alta estimazione […] – per questo motivo – di conservare la memoria per le future generazioni dei nostri funzionari, facendone scolpire l’effige da un valente artefice, per collocarla nella sala della Direzione».
Quanto riportato nel verbale del Consiglio di Amministrazione del giugno 1878, oltre a delineare il perimetro in cui la decisione è maturata, ci dà notizia anche sull’ubicazione scelta per l’esposizione: la sala del piano nobile di palazzo Geiringer (sede storica di Generali) destinata alle adunanze, come testimoniano anche diverse foto d’epoca conservate presso l’Archivio Storico di Generali; nonché luogo deputato anche per la conservazione dei ritratti novecenteschi su tela del top management della Compagnia.
Con modestia e sottile ironia, la risposta di Masino Levi non si fa attendere: «per giustificare» tale «distinzione […] che assai di rado viene attivata per persone ancora viventi» scrive nella lettera indirizzata al consigliare Vitale Segrè dell’ottobre 1878: «Le accludo una copia del Sunto Storico sulla operosità e sui risultati del mio quarantennio di gerenza della Compagnia che mi sono tenuto in dovere di compilare per giustificare in qualche modo le disposizioni che la spettabile Direzione si è compiaciuta di adottare a mio riguardo al compimento del detto quarantennio».
In realtà, Levi muore all’inizio del 1879 e la scultura viene completata ed esposta solamente alcuni mesi dopo per un incidente occorso in fase di realizzo, che comportò il rifacimento dell’opera assieme all’esecuzione di venti copie in gesso «da distribuirsi fra i membri della famiglia Levi ed altri» (verbale della Direzione n. 1331 del 23.12.1878).
Interessante è l’aneddoto che Massimo De Grassi racconta in un saggio sull’autore del busto, Francesco Pezzicar (il nome compare sull’opera stessa), di origine triestina, citando un articolo relativo all’opera pubblicato dal quotidiano di Trieste «Il Cittadino» del 06.06 1879: pare che alcuni anni prima lo scultore, dopo aver visto Masino Levi intento a leggere un giornale al tavolo di un caffè, avesse fatto notare agli amici la «caratteristica ed intelligente fisionomia di quel signore», esprimendo il «desiderio di riprodurla in marmo ed imprimerle col mio scalpello la vita che l’anima, l’intelligenza che l’irradia».
Decenni più tardi, a cinque anni dalla scomparsa del presidente Marco Besso, Generali decide di onorarlo con la realizzazione di un busto commemorativo. L’incarico viene proposto allo scultore Gigi Supino, genovese di nascita, già ben affermato a livello nazionale e autore di altre commesse per la Compagnia, come si legge nella lettera indirizzatagli dal direttore generale sostituto Angelo Ara in data 08.11.1925: «[…]. Per Marco Besso, tenuto conto dei suoi meriti insigni, Edgardo [Morpurgo] intende di far fare in luogo del semplice ritratto un busto in marmo, onoranza che fu già tributata al nostro primo direttore Masino Levi, il quale resse la Compagnia per quasi 40 anni prima di Besso. Per l’esecuzione del busto si è pensato allo scultore Supino, ed io ti prego di dirmi se questi accetta l’incarico ed eventualmente a quali condizioni. Il busto dovrebbe avere all’incirca le dimensioni di quello di Masino Levi, del quale ti mando una fotografia, su cui sono segnate le misure. Ti invio inoltre il materiale che ti è necessario per “l’ispirazione” e precisamente 4 fotografie di Marco Besso e una medaglia portante la sua effige. Poiché Edgardo [Morpurgo] sarà domani costì ed anzi ti recherà il materiale suddetto, sarà bene che tu vada a vederlo, perché egli potrà darti delle utili indicazioni sulla somiglianza delle singole fotografie ecc.».
Lo stile della lettera inviatagli è decisamente informale, a dimostrazione della confidenza derivante dalla parentela fra i due. Supino è infatti nipote per parte materna del presidente Edgardo Morpurgo e quest’ultimo, a sua volta, è cugino di primo grado di Angelo Ara.
A gennaio dell’anno successivo la scultura è già ben abbozzata «posso dirti che quanti hanno conosciuto il Comm. Besso trovano la tua opera somigliantissima», scrive Ara a Supino complimentandosi con l’artista per il lavoro svolto. Il carteggio conservato presso l’Archivio comprende varie altre lettere: da una di esse apprendiamo che lo scultore spedisce il busto finito il 21 maggio 1926, dopo aver «levato la commenda e fatta la barba un po’ più quadrata»; queste richieste, infatti, erano state avanzate dai dirigenti della Compagnia, che avevano valutato una fotografia dell’opera in corso di realizzazione.
La terza commessa, ovvero il busto di Edgardo Morpurgo, è da inserirsi nel programma delle manifestazioni per il 125° anniversario della fondazione della Compagnia: una cerimonia «familiare» ristretta alle autorità locali, ai membri degli organi statutari e ai presidenti delle compagnie affiliate a Trieste nella sala Duca d’Aosta in palazzo Stratti, dove venne inaugurato il busto di Morpurgo al cospetto della moglie, e una solenne aperta a tutte le rappresentanze e ai dipendenti presso il palazzo Ducale a Venezia. Con questo gesto la Compagnia ha voluto così «onorare il passato, con l’imponente convegno di Venezia si è voluto esaltare il presente e impegnare l’avvenire» (verbale dell’Assemblea degli azionisti del 25.06.1956).
Non viene citato il nome dell’artista incaricato dell’esecuzione ma anche in questo caso il busto reca la firma dell’autore, il triestino Adolaire Plisnier, come sugli altri busti commissionatigli negli anni cinquanta del Novecento, ovvero quelli di Giuseppe Volpi di Misurata, Antonio Cosulich, Mario Abbiate, Mario Tripcovich e Camillo Giussani.
Il muggesano Ugo Carà (nome d’arte di Ugo Carabaich, poi italianizzato in Carabei) inaugura la serie dei busti in bronzo, gli ultimi realizzati prima di passare alla fotografia: a sua firma quello di Gino Baroncini degli anni settanta del secolo scorso.
Sono, invece, a firma dell’artista siciliano Innocenzo Vigoroso i busti di Cesare Merzagora e di Enrico Randone, entrambi del 1991.
I busti fanno ancora oggi bella mostra di sé al piano nobile di palazzo Geiringer, all’interno di uno spazio atto a valorizzarne la storia e il pregio artistico, la cosiddetta “saletta dei presidenti”.