Dal Trono di spade a Trieste: un prezioso manoscritto di Seneca dell’Heritage Generali
28 Marzo 2024
Le Epistulae morales ad Lucilium (Lettere morali a Lucilio) sono una raccolta di 124 lettere suddivise in più volumi (la distribuzione varia, per lo più 20-22 volumi) scritte da Lucio Anneo Seneca (4 a.c. – d.c. 65), filosofo e scrittore latino nato a Cordova, negli ultimi anni di vita, tra il 62 e il 65 d.C., all’amico Lucilio il Giovane, governatore della Sicilia, poeta e scrittore.
Il manoscritto, su pergamena e redatto in scrittura gotica, entra a far parte dell’heritage della Compagnia dal 1956, con una delibera del 12 giugno del Banco Vitalicio di Madrid, che scelse di celebrare il 125° anno di nascita di Generali con questo prezioso omaggio alla Direzione. La scelta di questo specifico dono non fu casuale, ma rivestiva un importante significato simbolico, in quanto niente come Seneca rappresenta lo spirito e l’identità della Spagna. Lo stemma sulla pagina iniziale, una mezzaluna rovesciata in campo rosso, collega il manoscritto con i de Luna d’Aragona, antica casata della nobiltà spagnola, nome derivato dal possesso della città di Luna, nella provincia di Saragozza. Alla famiglia appartenne l’antipapa Benedetto XIII (1328-1423), la cui insegna spicca ancora sulla porta d’ingresso del suo castello sul mare a Peñíscola (Valencia).
Il filologo Roberto Benedetti ha svolto un’approfondita indagine per datare, collocare geograficamente e soprattutto per ricostruire la traditio del manoscritto, riconoscendone la preziosità e posizionandolo «senza alcun dubbio tra le più importanti testimonianze manoscritte conservate a Trieste, accanto ai codici più significativi del Museo Petrarchesco Piccolomineo nella locale Biblioteca civica “Attilio Hortis”».
È probabile che già fin dal suo allestimento questo prezioso codice nascesse per essere donato, forse destinato a rinsaldare qualche alleanza. La qualità dei testi assemblati, certi dettagli iconografici, lasciano supporre che l’ideatore avesse un alto spessore intellettuale. Un importante particolare da notare è il ripensamento in itinere: pensato per essere donato, fu poi destinato a rimanere di proprietà del possessore o committente. Infatti lo stemma della pagina iniziale risulta sovrapposto a uno scudo primitivo. Vi è raffigurato un castello munito di tre torri merlate, con la mediana finestrata e un po’ più alta delle due laterali, forse afferente a realtà di ambito regale sia castigliano sia aragonese. Benedetto XIII ebbe un ruolo fondamentale nella successione al trono spagnolo, appoggiando nel 1412 l’incoronazione di Ferdinando I d’Aragona, contribuendo così alla nascita di una dinastia che rese più stretti i vincoli tra le corone di Castiglia e di Aragona, precorrendo i tempi della futura fusione delle due corone iberiche in un unico stato politico. Il suo successore Alfonso V, detto “il Magnanimo”, per ragioni politiche non fu altrettanto solidale con Benedetto XIII, scomunicato e deposto nel 1417 su decreto del concilio di Costanza. Abbandonato da tutti e controllato a distanza dalle truppe di Alfonso V, divenuto suo nemico, Benedetto XIII trascorse gli ultimi anni della propria vita asserragliato nella residenza di Peñiscola. Unica consolazione, gli rimasero i preziosi e fidati volumi della sua ricchissima biblioteca (tra cui probabilmente questo codice) dove creò un vero e proprio scriptorium, coinvolgendo copisti e miniatori.
Questi presupposti storici e biografici avvalorati da riferimenti iconografici e da glosse che evidenziano passaggi di testo rivelano la posizione politica e il pensiero di chi le ha scritte e portano a escludere che possa trattarsi di altri membri del casato dei de Luna. Comprovano l’ipotesi della committenza/proprietà (l’antipapa Benedetto XIII), le circostanze che l’hanno determinata (la successione al trono di Spagna), il ripensamento (l’avversità di Alfonso V), il terminus ante quem (1416) e soprattutto la particolarità del codice, che lo rende unico nella pur amplissima tradizione delle Lettere di Seneca a Lucilio: il fatto di presentare la lettera numero 102, dove il tema della morte e del dopo assume un ruolo predominante, estrapolata dalla consequenzialità del testo per essere collocata a conclusione dell’opera, induce «a pensare come il manoscritto dovesse avere per committente un bibliofilo di ampia cultura, desideroso di trasmettere attraverso il libro così strutturato un messaggio edificante forse a un destinatario anziano o a qualcuno che avesse subito di recente un lutto, dato il rilievo che viene ad assumere a fine libro la riflessione sulla morte».
Anche le caratteristiche intrinseche al testo lo collocano in area catalana, secondo uno stile che può essere definito italo-gotico e che si riconosce anche nell’utilizzo di drôlerie: faccine a fine capitolo, o come riempitivi dei capilettera, una sorta di elemento esornativo, emozionale, che crea un ponte empatico tra il lettore e l’amanuense.
Alla morte di Benedetto XIII, la sua preziosissima biblioteca venne probabilmente dispersa del suo successore Clemente VIII, bramoso di liberarsi di un’eredità ormai scomoda politicamente e di ottenere facili guadagni con la vendita dei volumi più pregiati. Infatti, nell’inventario della sua biblioteca stilato dopo la sua morte nel 1423, si trova elencato anche un manoscritto che pare possa essere riconosciuto come quello di Generali: interessante sarebbe il confronto con le versioni successive del medesimo inventario, ridotte forse a un terzo, per avvalorare la genesi della sua immissione nel circuito di vendita di codici antichi.
Dopo un lungo viaggio di quasi cinque secoli, dalle sponde di Peñíscola, dove ancora oggi si trova il castello-fortezza di Benedetto XIII, anche set cinematografico di Meereen nel medieval fantasy Trono di Spade, al golfo di Trieste, ora il manoscritto di Seneca trova rifugio sicuro presso la sede direzionale storica della Compagnia.